AI FRATELLI CERVI, ALLA LORO ITALIA
… Ma io scrivo ancora parole d’amore,
e anche questa è una lettera d’amore
alla mia terra. Scrivo ai fratelli Cervi,
non alle sette stelle dell’Orsa: ai sette emiliani
dei campi. Avevano nel cuore pochi libri,
morirono tirando dadi d’amore nel silenzio.
Non sapevano, soldati, filosofi, poeti,
di questo umanesimo, di razza contadina.
L’amore, la morte, in una fossa di nebbia appena fonda.
Ogni terra vorrebbe i vostri nomi di forza, di pudore,
non per memoria, ma per i giorni che strisciano
tardi di storia, rapidi di macchie di sangue.
Salvatore Quasimodo
CONTRO OGNI RITORNO
Inermi borgate dell’alpe
asilo di rifugiati
prese d’assalto coi lanciafiamme
arsi vivi nel rogo dei casali
i bambini avvinghiati alle madri
fosse notturne scavate
dagli assassini in fuga
per nascondervi stragi di trucidati innocenti
questo vi riuscì.
S. Terenzio Bergiola Zeri Vinca
Forno Mommio Traverde S. Anna S. Leonardo
scrivete questi nomi
son le vostre vittorie
ma espugnare queste trincee di marmo
di dove il popolo apuano
cavatori e pastori
e le loro donne staffette
tutti armati di fame e di libertà
vi sfidava beffardo da ogni cima
questo non vi riuscì.
Ora sul mare son tornati al carico i velieri
e nelle cave i boati delle mine
chiaman lavoro e non guerra.
Ma questa pace non è oblio.
Stanno in vedetta
queste montagne decorate di medaglia d’oro
al valore partigiano
taglienti come lame
immacolato baluardo
contro ogni ritorno.
Piero Calamandrei
AVEVO
Avevo una bambina, oggi una donna.
di me vedevo in lei la miglior parte.
Tempo funesto anche trovava l’arte
di staccarla da me, che la radice
vede in me dei suoi mali, né più l’occhio
mi volge, azzurro, con l’usato affetto.
Tutto mi portò via il fascista abbietto
ed il tedesco lurco.
Avevo una città bella tra i monti
rocciosi e il mare luminoso. Mia
perché vi nacqui, più che d’altri mia
che la scoprivo fanciullo, ed adulto
per sempre a Italia la sposai col canto.
Vivere si doveva. Ed io per tanto
scelsi fra i mali il più degno: fu il piccolo
d’antichi libri raro negozietto.
Tutto mi portò via il fascista inetto
ed il tedesco lurco.
Avevo un cimitero ove mia madre
riposa, e i vecchi di mia madre. Bello
come un giardino; e quante volte in quello
mi rifugiavo col pensiero! Oscuri
esili e lunghi, altre vicende, dubbio
quel giardino mi mostrano e quel letto.
Tutto mi portò via il fascista abbietto
-anche la tomba- e il tedesco lurco.
Umberto Saba
E ALLORA NOI VILI
E allora noi vili
Che amavamo la sera
Bisbigliante, le case,
i sentieri sul fiume,
le luci rosse e sporche
di quei luoghi, il dolore
addolcito e taciuto –
noi strappammo le mani
dalla viva catena
e tacemmo, ma il cuore
ci sussultò di sangue,
e non fu più dolcezza,
non fu più abbandonarsi
al sentiero sul fiume –
non più servi, sapemmo
di essere soli e vivi.
Cesare Pavese
ROMA OCCUPATA
Le usate strade
- Folli i miei passi come d’un automa-
Che una volta d’incanto si muovevano
Con la mia corsa,
ora più svolgersi non sanno in grazie
piene di tempo
svelano, a ogni mio umore rimutate,
i segni vani che le fanno vive
se ci misurano.
E quando squillano al tramonto i vetri,
- ma le case più non ne hanno allegria –
per abitudine se alfine sosto
disilluso cercando almeno quiete,
nelle penombre caute
delle stanze raccolte
quantunque ne sia tenera la voce
non uso dei presenti sparsi oggetti,
invecchiato con me,
o a residui d’immagine legato
di una qualche vicenda che mi occorse,
può inatteso tornare a circondarmi
sciogliendomi dal cuore le parole.
Appresero così le braccia offerte
- i carnali occhi
disfatti da dissimulate lacrime,
l’orecchio assurdo, -
quell’umile speranza
che travolgeva il teso Michelangelo
a murare ogni spazio in un baleno
non concedendo all’anima
nemmeno la risorsa di spezzarsi.
Nel desolato fremito ale dava
a un’urbe come semenza, arcana,
perpetuava in sé il certo cielo, cupola
febbrilmente superstite.
Giuseppe Ungaretti
11 AGOSTO 1944
Un Bedlington s’affaccia, pecorella
azzurra, al tremolio di quei tronconi
-Trinity Bridge –nell’acqua. Se s’infognano
come topi di chiavica i padroni
d’ieri (di sempre?) i colpi che martellano
le tue tempie fin lì, nella corsia
del paradiso, sono il gong che ancora
ti rivuole fra noi, sorella mia.
Eugenio Montale
VIA GIORGIO PAGLIA
Quando entro in questa via e penso alla Malga Lunga
e quel giorno della tua fucilazione
fratello e compagno di quanti non hai potuto salvare
e che hai potuto morire assieme, perché eroe:
come sono secche le nostre palme e aride le parole
se il tuo spirito evoca questa strada
se la gente sapesse chi il tuo nome era
e chi scrisse l’ultima lettera alla madre
e che morì con un russo alla pari come uomo
senza fede diversa, senza credo straniero
se non quello di tuo padre sull’Amba.
Quanti di noi seguirono il rischio e il disonore
la prepotenza e l’accostamento dei banditi
asserragliati nelle nostre idee di libertà
costretti sui monti senza spazi, senza rifugi sicuri
pochi e non capiti religiosamente dai nostri
compromessi nella vita e morti prima di morire.
Fate isola pedonale questa via, nessun rumore di motori
nessuna uniforme di vigili e vigilesse, né sentore di armi
tenete le saracinesche alzate, giorno e notte illuminate
venite nella via di Giorgio, dategli i suoi metri di libertà
dove non più banditi, dove non più soldati
dove non più partigiani, dove uomini liberi camminano.
Giovanni da Montepelato