"Ol Porteghet" i fatti di Monte di Nese

Note a corredo della mostra documentaria presentata dal Circolo Culturale “Ol Porteghet” a Montecchio in occasione delle manifestazioni per il 50° della Liberazione, 25 aprile 1995, sui fatti di Monte di Nese del 13 aprile 1945.

 

Loculo ricordo dei soldati azerbaigiani uccisi a Monte di Nese il 13 aprile 1945. Non è certo se il termine “mongoli” sia stato usato per identificare l’etnia di questi militari solo per marcare facce e uomini molto diversi da noi. Non è da escludere che nell’immaginario collettivo del periodo nel quale è successo il fatto (e anche in tempi successivi), questo termine assumesse un significato dispregiativo, come sembrano dimostrare certe vignette di scherno, di presa in giro, apparse nelle vetrine di alcuni negozi di Alzano Lombardo dopo l’eccidio.

 

 

 

 

 

 

 

 

FienileGherardiCasa Licini detta anche “Cà del Tirù”, fa parte del gruppo di case Cà Gherardi a Monte di Nese, a sud della chiesa parrocchiale.

E’ indicata come luogo in cui avvenne il primo scontro a fuoco tra la milizia fascista e i militari azerbaigiani e dove cadde la prima vittima : un soldato che passò la notte nella casa a sinistra delle foto, tra il 12 e 13 aprile 1945, che venne catturato e ucciso al primo piano nelle prime ore del mattino dopo l’inizio del rastrellamento. I presenti ricordano che il corpo venne trascinato nel cortile facendo battere la testa violentemente su ogni gradino delle scale. Nella foto di destra si vede il fienile di proprietà Gherardi posto a fianco della casa Licini a Monte di Nese. Ospitava, soprattutto negli ultimi mesi di guerra, famiglie sfollate dalla città con donne e bambini. Furono ospitate anche più di otto persone.

 

CaGherardiNella foto Cà Gherardi vista dalla zona sottostante. Qui è iniziato il rastrellamento fascista che risaliva il monte. Dopo l’uccisione del soldato azerbaigiano, i fascisti che tentavano la risalita verso la chiesa, furono inizialmente fermati dal mitragliamento di reazione che causò morti e feriti tra gli assalitori, tra cui si ricorda un ufficiale.

 

 

 

 

 

Valletta “del gat” a Monte di Nese

Valletta nella quale furono fatti affluire a gruppi di due, una sessantina di prigionieri azerbaigiani catturati dal fascisti nella mattinata del 13 aprile 1945 nella vasta zona di Monte di Nese. Dopo averli spogliati di tutto, scarpe comprese, i militi fascisti fecero scavare una fossa e tutti furono mitragliati e uccisi. Dopo di che vennero coperti con poca terra. Chi arrivò per primo sul posto trovò biglietti scritti con caratteri cirillici sparsi un po’ ovunque (ultimo messaggio ai famigliari lontani). Non è dato a sapere se questi tragici messaggi furono raccolti e consegnati a qualcuno oppure andarono dispersi nella grande confusione di quei giorni. Non è dato a sapere neanche se esistevano segni che potessero portare ad un loro riconoscimento : piastrine personali o altro, forse strappate da parte dei carnefici.

 

Gli azerbaigiani prigionieri, ormai disarmati e quindi inoffensivi, vennero trucidati con efferatezza e disprezzo per la vita umana “al di là delle necessità militari con le uccisioni indiscriminate, l’esposizione dei cadaveri, le spogliazioni”(“da “La Diserzione” di Andrea Pioselli).

 

Cimitero di Monte di Nese

La foto mostra il muro di cinta del cimitero sul versante sud dove sono stati sepolti in fossa comune, gli azerbaigiani trucidati nella valletta “del gat”, posta a breve distanza verso ovest, insieme ai corpi di altri militari morti recuperati in tempi successivi in varie località di Monte di Nese. Il seppellimento in fossa comune avvenne 8/9 giorni dopo l’eccidio. Altre vittime vennero recuperate molto tempo dopo (fino a cinque anni dai fatti).

 

 

 

 

Frazione Busa - zona "Belvedì"

Lato sud-est della casa “Mologni”, parte della proprietà in località Belvedere di Giusy Pesenti. Nel cortile di questa casa nella mattinata del 13 aprile 1945 era attiva una postazione di mortai che batteva le zone alte di Monte di Nese in appoggio alle unità fasciste e tedesche che procedevano, fin dal primo mattino, al rastrellamento del territorio di Monte di Nese e Olera per catturare (e annientare) gli azerbaigiani disertori. La postazione era sotto il comando tedesco con la presenza di cavalleria azerbaigiana rimasta fedele alle SS tedesche.

 

 

 

E’ in questa situazione che arrivano a valle gli otto prigionieri azerbaigiani, catturati a Monte di Nese dai fascisti. Nei pressi della “tribulina” posta all’inizio del sentiero per Monte di Nese, vengono fermati e obbligati a scavare una fossa, ciò provocò una reazione tra gli azerbaigiani appostati nella casa “Mologni”. Dopo che gli otto prigionieri furono uccisi da militi fascisti i militari azerbaigiani si mossero da casa “Mologni” verso il luogo del massacro distante meno di cento metri. Scesero armati e miseroin fuga i fascisti assassini che si precipitarono nel torrente Nesa dileguandosi per la campagna circostante.

Fatti fuggire precipitosamente i militi fascisti responsabili del massacro degli otto azerbaigiani, il gruppo di soldati si avvicinò ai cadaveri. Con essi c’è un ufficiale (della stessa nazionalità), che li abbracciò e baciò uno per uno con le lacrime agli occhi e con grida di disperazione. L’intervento di un ufficiale delle SS tedesche riportò la situazione sotto controllo

 

Punto esatto della frazione Busa dove avvenne l’eccidio degli otto azerbaigiani fatti prigionieri a Monte di Nese (si dice che il gruppo fosse in partenza più consistente e che durante il percorso per inabilità o resistenza qualcuno fosse stato ucciso e abbandonato). Arrivarono a valle percorrendo il vecchio (e unico) sentiero che collegava la Busa con Monte di Nese, scalzi e affardellati come somari. Furono obbligati a scavarsi la fossa e furono mitragliati da un giovane che non riuscendo a tenere l’arma fu aiutato da un miliziano più anziano (più esperto e abituato a uccidere).Questo particolare è riferito da testimoni che seguirono tutta questa scena nascosti sul solaio di una casa poco lantana dal luogo del massacro.

 

 

  

Caddero cercando invano la libertà” Pietosamente composti da don Giovanni Pezzotta qui riposano in pace otto dei 118 russi della Mongolia trucidati nell’eccidio del 13 aprile 1945 a Monte di Nese.

 Così recita l’iscrizione sulla lapide posta all’interno sulla destra dell’ingresso del cimitero di Nese, che ricorda i 118 azerbaigiani trucidati il 13 aprile 1945 a Monte di Nese e dintorni, per mano delle Brigate Nere fasciste e dei tedeschi, e luogo di sepoltura degli otto militari uccisi alla Busa. La strage di Monte di Nese è di gran lunga il fatto militare più grave avvenuto nel corso dell’intera guerra 1940-1945 nel territorio bergamasco e secondo solo, per gravità e numero di vittime, al bombardamento alleato dello stabilimento della Dalmine. Una strage che non ha avuto l’attenzione dovuta e sulla quale c’è ancora molto da chiarire, molte domande a cui dare risposta.

 

 

 

 

 

 

 

 

PGR – Per Grazia Ricevuta

PGR1L’episodio tragico di Monte di Nese ha avuto un raffigurazione su un quadretto nel quale si ricorda Pietro Gherardi con tanto di bandiera bianca in mano che si fa notare dai fascisti che hanno ancora le armi spianate e minacciose nei pressi della valle del “gat”, dove sono stati trucidati barbaramente una sessantina di prigionieri azerbaigiani. L’autore nella nota didascalica afferma che “Gherardi Pietro riunisce i morti nel combattimento e salva il paese e la popolazione dalla rappresaglia”, Monte di Nese aprile 1945. Si racconta che il quadretto sia stato esposto nella chiesetta della Forcella, ma sono state raccolte anche testimonianze che lo negano. Nonostante ricerche fatte, ad oggi il quadretto non è reperibile.

 

 

 

 

 

PGR2PGR3In tema di quadri che richiamano fatti di Monte di Nese e lo scampato pericolo, c’è da ricordare quello commissionato  da Egidio e Brigida Licini (padre e figlia) che li raffigura sull’area antistante la loro casa (Cà del Tirù” – nel gruppo “Gherardi”), sottotiro di un fascista che voleva ucciderli per avere ospitato un soldato azerbaigiano (precedentemente ucciso), fatto non avvenuto, e ritenuto un miracolo della Madonna della Forcella (chiesetta nella quale il quadretto con dedica PGR fu per molto tempo esposto). Deterioratosi alquanto il quadro fu ritirato e Brigida Licini ne commissionò nel 1990 un altro al pittore Ettore Piazzalunga di Torre Boldone, a imitazione del primo. Entrambi i quadri sono ora presso la sua abitazione di Monte di Nese.